Una centrale idroelettrica lungo il torrente Frido

A cura dell’Ing. Ferrante De Benedictis.

Riguardo la questione della centrale idroelettrica sul torrente Frido ebbi modo di scrivere alcune note già nel maggio del 2017 dove avanzavo una serie di perplessità dettate dall’analisi degli elaborati progettuali in mio possesso, ossia di quei documenti progettuali disponibili sul sito della Regione Basilicata, e oggi dopo la lettura della nota a firma del dott. Petraglia, consulente geologo della società proponente, corre l’obbligo riportare alcune ulteriori riflessioni e puntualizzazioni sull’opera.

Premetto che non sono consulente di nessuno, ma innamorato della mia terra e profondo conoscitore di quel tratto di fiume che reputo anche il mio fiume.
Senza voler essere polemico, vorrei riportare i canoni della discussione su alcuni dati oggettivi e mi riferisco in primis al lato tecnico e in secondo luogo al contesto naturalistico dove dovrebbe insistere l’opera.
Mai avrei immaginato anche solo lontanamente che qualcuno potesse immaginare di installare una centrale idroelettrica lungo il torrente Frido, area di massima tutela del Parco Nazionale del Pollino e tra le più suggestive e ricche di emergenze naturalistiche, dove vive una straordinaria varietà floro-faunistica da far invidia ai parchi del mondo.

Ma evidentemente mi sbagliavo e non solo qualcuno ha pensato di progettarla e di volerla realizzare, ma la Regione Basilicata ne ha inopportunamente autorizzato l’opera, in virtù di cosa? Di una sorta di immunità legata alla magica parolina “Impianto rinnovabile”, che produce energia verde.
E proprio in virtù di questo passepartout che si è pensato che costruire una centrale avente una potenza nominale di 987 kW, che impone una serie di opere fisse quali la realizzazione di una condotta di presa lunga 6,8 km, che alimenterà una vasca di carico di dimensioni in pianta di 15,7 m x 27,4 ed una profondità di 5 mt per una capacità di 1269 m3; e di una condotta forzata di diametro 900 mm ed una lunghezza di 2591 m in grado di alimentare due turbine Pelton ospitate in un edificio in cemento armato di dimensioni pari a 14,9m x 11 m ed una altezza di 6,23 mt, a completamento del tutto la costruzione di un canale di restituzione dalle dimensioni di 2×2 mt anch’esso in cemento armato; non avesse alcun impatto su un fragilissimo ecosistema come quello di un torrente di montagna dove vivono specie autoctone quali la trota fario e la lontra, quest’ultimo animale considerato tra i più vulnerabili ed a forte rischio di estinzione.

A tal proposito ritengo opportuno osservare come all’interno dell’ormai datato parere di compatibilità ambientale e della stessa VIA non si faccia alcuna menzione alla presenza di queste straordinarie specie, ossia la lontra e la trota fario, significativa dimenticanza, che da sola porrebbe in discussione l’intera impalcatura autorizzativa.
Invece il consulente mosso da animato amore per la natura, anziché far notare tali mancanze, ricorda che negli anni novanta fu costruita lungo parte del percorso interessato dal progetto una rete fognaria che ne avrebbe compromesso la bellezza naturalistica, ed in nome di quello scempio si vorrebbe giustificare oggi un intervento non di certo meno invasivo, a cui rispondiamo che non vorremmo tornare indietro di 30 anni, anni in cui chi scrive aveva poco meno di 10 anni.

Lo stesso consulente nella sua attenta e puntuale disamina concentra la sua attenzione su una parte dell’impianto ossia la condotta adduttrice o condotta forzata, mentre sulle altre opere necessarie alla realizzazione della centrale, ossia le opere di presa e la vasca di carico, il fabbricato della centrale dove alloggeranno le 2 turbine e le opere di rilascio delle acque, pur correttamente citate nessuna disamina degli impatti ambientali e visivi viene riportata.
Interessante il passaggio che nelle note pubblicate il 27/02/2020 sulla testata online La Siritide, si fa in riferimento alle opere di mitigazione e/o di miglioramento, tra queste quelle che consentirebbero un più facile accesso a luoghi di natura pregevole e che a suo dire risulterebbero ora non utilizzabili, con l’assunto più o meno esplicito che la natura si debba salvaguardare prima di tutto permettendone l’accesso.

Occorre invece ricordare che il Parco Nazionale del Pollino considerato uno dei parchi con la più significativa natura selvaggia ed incontaminata d’Italia, rappresenta un vero e proprio scrigno di biodiversità da tutelare contro il turismo di massa poco sensibile il più delle volte a coglierne la bellezza che solo la natura wilderness può offrire.
Portare come punto di miglioramento la maggiore fruibilità delle rive del torrente Frido è un errore sia da un punto di vista naturalistico, sia da un punto di vista turistico, tra l’altro l’area è già dotata di percorsi e sentieri inseriti nel Sentiero Italia CAI e ampiamente utilizzati da escursionisti ed appassionati, non abbiamo certo bisogno di una scaletta con la moquette per accedere in un punto panoramico del torrente Frido magari trasformato nel tratto che va dal punto di presa a quello di rilascio in uno stagnante rigagnolo dove poter udire al massimo il gracchio di qualche rana.

Ritornando sul tema della centrale, questa avrà una portata massima di 1351 l/s e garantirà solamente 150 l/s di deflusso minimo vitale, capite subito la sproporzione tra quanto prelevato e quanto garantito.
Tema questo poco discusso, sarebbe invece interessante capire sulla base di quale analisi idrometrica sia stata calcolata la portata minima vitale?
Nel caso in esame il regime delle acque è molto variabile, funzione della stagionalità e dei fenomeni meteorologici, per via della particolare orografia del territorio che porta ad osservare, durante il corso dell’anno, un susseguirsi più o meno ciclico di periodi di magra e di piena, questi ultimi aventi carattere di grande eccezionalità sia per la quantità di acqua sia per la violenza dettata dalla sezione dell’alveo del fiume.

Andiamo adesso al tema economico ossia dei costi-benefici, sul piano dei costi abbiamo largamente discusso dei costi e soprattutto dei rischi ambientali connessi alla realizzazione dell’opera nell’immediato, rischi che potrebbero indebolire l’attrattività del tratto di fiume con ripercussioni sull’economia collegata al turismo naturalistico che risulta in forte incremento nella zona interessata.
Sul piano dei vantaggi dovremmo ritenere soddisfacenti l’assunzione di 2 operatori dedicati alla sorveglianza e/o di qualche operaio per la manutenzione? Oppure dovremmo accontentarci di un parco tematico che si andrebbe ad aggiungere ad altri già esistenti nell’area?
Credo di no, perché prima ancora di guardare all’aspetto speculativo dovremmo imparare a custodire e al tempo stesso conservare aree di natura selvaggia, luoghi incontaminati che hanno da un punto di vista naturalistico e scientifico un valore inestimabile, veri e propri scrigni
di memoria naturalistica.

Senza dimenticare che il nostro territorio avrebbe prima di tutto bisogno di recuperare i tanti mulini presenti lungo i percorsi dei nostri meravigliosi fiumi, riscoprendo una memoria storica e antropologica a rischio di estinzione tanto quanto la lontra che li abita.

In conclusione in aree dove lo spopolamento richiederà nel prossimo futuro sempre meno energia, forse avremmo bisogno di meno centrali e più sentieri e percorsi ciclabili, meno opere che snaturano le nostre emergenze naturalistiche e maggiore recupero conservativo dei nostri fantastici centri storici.

Ferrante De Benedictis, un lucano che ama la sua terra.