L’Abbazia di Follina e il paradosso della Pedemontana Veneta

Abbazia Follina

Negli ultimi anni qualche intervento sulla stampa locale ha contribuito a diffondere la notizia dello stato di degrado nel quale versa l’Abazia Santa Maria di Follina, piccolo gioiello situato nella pedemontana trevigiana nell’area dei colli del prosecco (link all’articolo qui).

A settembre il complesso è stato visitato dal sottosegretario al Ministero dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo, Ilaria Borletti Buitoni assieme alla senatrice Laura Puppato. Il sottosegretario è stato colpito dalla bellezza del luogo e s’impegna a trovare i fondi per il restauro, suggerendo la preparazione di un progetto turistico (collegamento all’articolo qui).

L’antico monastero cistercense è composto da una basilica risalente al XIII secolo, la torre campanaria e uno splendido chiostro sul quale si affacciano le aree principali, architetture che stanno letteralmente cadendo a pezzi, nelle parti esterne ed interne. La via di accesso principale alla basilica è una scalinata cinquecentesca, inagibile per problemi strutturali. A prendersi cura del complesso sono rimasti solo quattro monaci, tra questi padre Luciano che ad aprile aveva lanciato un appello nei confronti del presidente della regione Luca Zaia affinché si trovassero i fondi per ristrutturare l’abbazia, meta di numerosi visitatori.

Il piccolo monastero non è distante da un altro monumento di recente devastazione, il Molinetto della Croda (Refrontolo); pur con storie e tempi diversi entrambi sono simboli rappresentativi di un paesaggio pedemontano che pur nelle minacce che lo attentano (cementificazione a fondovalle, diffusione della monocoltura) è d’indiscutibile bellezza. L’interesse ministeriale per la questione è un gran passo avanti in un contesto dove sono altri i tipi d’intervento ritenuti prioritari. Riportiamo di seguito parte dell’appello di Dante Schiavon che questi luoghi li abita:

Ho appreso del degrado dell’Abbazia di Follina. La prima cosa che mi sono detto e’ stata: in Austria o in Germania ciò non sarebbe mai potuto accadere. Il degrado dell’Abbazia di Follina fa il paio con il degrado di Pompei, le mura di Volterra sgretolate dalle piogge intense, il parziale oscuramento del fascino delle Ville Venete assediate dall’asfalto della Pedemontana []c’è chi dice che mancano i soldi, chi dice che bisogna assolutamente trovarli, chi dice che bisogna approfondire, chi non dice, ma fa capire, che i soldi devono essere spesi per cose più importanti. A nessuno viene in mente che per Follina, ma potrebbe valere per Volterra come per Pompei, dobbiamo capovolgere l’inquadratura del problema. Dobbiamo rivoluzionare l’approccio culturalmente stantio e assistenzialista con cui affrontiamo il problema dell’Abbazia […]. In questo senso urge che il comune e la regione adottino senza indugio norme che blocchino il consumo di suolo e tutelino il paesaggio che viene visto e attraversato dal turista che si reca a Follina.

Tale attenzione al paesaggio (il verde dei campi coltivati, il bosco, la montagna, le piste ciclabili, lo stile architettonico delle case dei borghi) può favorire un indotto legato alla ricettività, alla ristorazione, al turismo stanziale. Non si può pensare di creare posti di lavoro facendo la Pedemontana che distrugge per sempre la possibilità di crearne di nuovi nelle attività di tipo ambientale, turistico ed agricolo […]

E triste constatare come in un paese come l’ Italia e in una Regione come il Veneto si continui a teorizzare la creazione di nuovi posti di lavoro nel manifatturiero o attraverso grandi infrastrutture, inutili e dannose, ignorando le ricchezze. Nessuno di noi ha il diritto di distruggere in modo definitivo la terra e il territorio con le sue identità culturali ed umane lasciando alle future generazioni colate di asfalto e di cemento da cui non può nascere nulla. Sta a noi trasformare queste ricchezze in posti di lavoro inseriti in un ambiente più sano, più verde, più forte contro il dissesto idrogeologico, meno soggetto agli sbalzi della speculazione e ai rischi della globalizzazione. Chi siamo noi per distruggere tutto questo valore e negarlo alle future generazioni?

Per motivi di spazio è stata omessa una parte del testo nella quale l’autore indicava possibili forme di tutela del territorio e sviluppo dell’economia locale che fossero in sintonia con la tutela del paesaggio e nello specifico dell’Abbazia. Leggendo le parole di Dante, c’è un riferimento particolare che va messo in luce ovvero la Pedemontana Veneta che attraverserà anche questi territori.

La SPV (Superstrada Pedemontana Veneta), contestatissima arteria a pedaggio che attraverserà novantaquattro chilometri collegando le province di Vicenza e Treviso, da Montecchio Maggiore a Spresiano, si traduce nell’esproprio di terre a 2850 aziende agricole e nel passaggio ravvicinato a 97 Ville Venete come evidenziato nell’articolo di Attilio Romagnoli per Salviamo il Paesaggio (consultabile qui). La Superstrada è l’ennesimo trionfo del modus operandi regionale a suon di grandi interventi, project financing e procedure emergenziali , un progetto datato (risale al 1966) e più volte rivisto senza un qualche adeguamento alle istanze poste dalle comunità impattate e soprattutto un progetto che risponde alla necessità sfumata in tempo di crisi di dotare d’infrastrutture un’area votata all’esportazione.

La Superstrada Pedemontana Veneta evoca, perlomeno attraverso le parole dei promotori, la cultura del “fare”, nella rincorsa vera o retorica che sia ad una modernità globalizzata costituita da reti, hub, poli di sviluppo, connessioni continentali con salde radici in tradizioni locali, produzioni agricole, manifattura di qualità.

I benefici a breve termine della Superstrada Pedemontana sono i decantati posti di lavoro che come evidenziato nella lettera di Schiavon distruggono però la possibilità lungimirante di creare occupazioni sostenibili nella tutela del paesaggio, del territorio, dell’agricoltura e della cultura locali. Un autostrada perché di questo si tratta (l’irrisorietà degli sconti sul pedaggio è stata evidenziata dall’ex eurodeputato Andrea Zanoni che ha svelato gli accordi tra la regione e la società privata) costruita con fini anacronistici e in seconda battuta votata anche allo sviluppo turistico; peccato però che l’Abbazia così come gli altri piccoli gioielli sparsi nel territorio pedemontano, dei 2,5 milioni di euro previsti per l’opera non vedranno alcunché. Un ulteriore messa in atto dello strumento “finanza di progetto” per un opera di discutibile utilità che come scrive il “Coordinamento Veneto Pedemontana Alternativa” (COVEPA) a ben vedere ricade finanziariamente sui cittadini:

Il controverso Project Financing: nessun euro a carico dello Stato e del contribuente, ma rischio tutto sulle spalle dei privati. Ma come s’è visto per la Milano Brescia il rischio che lo Stato debba pagare c’è. I costruttori sono ripagati dell’opera con 39 anni di concessione per incassare i pedaggi: 30mila veicoli al giorno previsti. Ma saranno veramente 30mila? Quelle erano stime, analogamente alla BreBeMi, fatte negli anni d’oro, basate su simulazioni ottimiste che non prendevano in minima considerazione.

Ma i costruttori, una cordata italo-spagnola capeggiata da Sacyr, si sono cautelati. C’è una clausola nel contratto: se i veicoli saranno meno di 12.500 al giorno allora la Regione Veneto pagherà un indennizzo di 14 milioni all’anno. Periodo ipotetico dell’irrealtà, fino all’anno scorso. Ma ora dopo il flop della BreBemi non sembra così irrealistico. Intanto allo Stato, che in teoria non dovrebbe sborsare un euro, la Pedemontana Veneta è già costata quasi mezzo miliardo: 170 milioni a cui si stanno per aggiungerne altri 330 per opere aggiuntive non preventivate.

L’eventuale indennizzo regionale alla ditta appaltante non è poi così inverosimile come sicuramente non lo è uno scenario nel quale l’area pedemontana  fatica a trovare i fondi per tutelare monumenti e architetture e quindi per sostenere le professionalità che preservano il patrimonio.

Il 5 dicembre 2014, nel supplementare al Corriere della Sera, è apparso l’articolo di Paolo Conti: “Passione Italia. Avanza l’Esercito della Bellezza” che riporta dati strepitosi sul fenomeno del volontariato culturale-paesaggistico italiano che conta su 500 mila volontari (Settis, Azione Popolare) molti dei quali giovani come spiega Marco Parini, presidente di Italia Nostra:

«La chiave per comprendere perché il volontariato legato al bene culturale e paesaggistico attiri giovani è molto semplice. Le nuove generazioni hanno capito con molta chiarezza che, nel nostro Paese, è definitivamente tramontato il modello legato alla grande industria. E che il futuro dell’Italia passa attraverso ciò che riguarda il concetto di Bellezza: i beni culturali, il paesaggio, la moda, la cucina. Il passo successivo è la voglia di tutelare un tale tesoro, di studiarlo, di salvaguardarlo , di impegnarsi in prima persona.»

Giovani, come spiega Parini, che però non riescono a “sbarcare il lunario, a rendersi almeno un po’ indipendenti dalle famiglie”; giovani che probabilmente troveranno impiego nelle aree commerciali localizzate nei pressi del casello di una qualche nuova autostrada semi deserta.

http://www.andreazanoni.it/it/news/post/pedemontana-in-veneto-l-ombra-di-un-maxi-scandalo-eurodeputato-pd-zanoni-mostra-le-carte.html

http://wwwcovepa.blogspot.it/

Settis S., Azione Popolare. Cittadini per il Bene Comune, Einaudi, Torino, 2012

Zanella A., SPV. Navigando (a vista) tra gli arcipelaghi di terraferma, 2011 (documentario)